mercoledì 10 ottobre 2007

28 SETTIMANE DOPO



28 SETTIMANE DOPO
Di: Juan Carlos Fresnadillo
Con: Robert Carlyle, Rose Byrne, Jeremy Renner, Harold Perrineau
Genere: Horror (120’)
Commento: Confrontarsi con un pezzo di nicchia acclamato dalla critica non è mai semplice, ma Fresnadillo lo fa benone, riprendendo il canone cinematografico di Danny Boyle e imponendo la propria mano specie nelle scene di maggiore azione.
Se la prima puntata (“28 giorni dopo”) evocava il terrore senza mostrarlo, incutendo più che altro un’ansia claustrofobica e soprattutto psichica (tema poi ripresa, anche se in genere diverso, sempre da Boyle in “Sunshine”), 28 settimane dopo il virus ritorna passando soprattutto per scene d’azione ad alto contenuto spettacolare, dove la frenesia prende il posto della riflessione e l’orrore entra negli occhi dello spettatore senza passare per il suo cervello. Il risultato è ovviamente lievemente inferiore all’originale, non foss’altro per il fatto che la tecnica psicologica di Boyle era di più difficile resa cinematografica, rispetto al sequel in puro stile action movie di Fresnadillo. I meriti del regista messicano, tuttavia, sono diversi: avere reso interessante una storia tutto sommato simile alla precedente, avere mantenuto un punto d’incontro nell’inconscio di una colonna sonora originalissima per il genere (un sound rock-ambientale che accompagna anche le azioni più cupe dei protagonisti), e soprattutto essere in grado di non allentare mai la tensione: il film parte con tanti volt nel primo fotogramma e, se possibile, nell’ultimo raggiunge un’elettricità ancora maggiore. Attenzione dunque anche a quel che accade dopo i titoli di coda.
Da non perdere: La scena in puro splatter-movie dell’elicottero mozza-teste. La conferma che la sceneggiatura di questa seconda puntata (ma sarà l’ultima?) ha decisamente giocato forte sulla spettacolarità.

VOTO: 7.5

2 commenti:

Anonimo ha detto...

sei un fesso

Anonimo ha detto...

Il film di Danny Boyle mi ha talmente intrigato che 28 ore dopo avevo già acquistato anche il secondo capitolo firmato Fresnadillo.
Sono parzialmente d'accordo con te, soprattutto quando scrivi dei meriti di Fresnadillo: non era facile prendere il testimone dalla mano di Boyle e finire un altro giro di pista senza deludere le aspettative del pubblico. Ora, io credo che questo sequel sia per certi versi superiore al film di Boyle, ma non tanto per le scene di azione quanto perché attinge al nostro subconscio ancora più profondamente. Mi dirai che la storia è in fondo la stessa e che questo sequel evoca le stesse paure del primo e così via. Eppure sento che non è così! Il primo film è totalmente orfano della figura materna e la figura paterna è solo tratteggiata sempre che non la si voglia rinvenire nell'ufficiale a capo della caserma, il solo apparentemente dotato di un essenziale senso di responsabilità, della capacità di entrare nel futuro con un progetto (criticabile quanto vogliamo, ma un progetto!) Nella storia di Boyle c'è un altro fattore importante che in fondo in fondo gioca contro: la scelta dei protagonisti. Azzeccati sotto certi profili, come quello commerciale, ma in ultima analisi incompatibili con il metalinguaggio politico del plot: la fobia reazionaria e conservatrice di chi si sa perdente e si sente sul punto di essere sopraffatto dal nuovo che avanza (percepito come un virus!)aveva bisogno di protagonisti più maturi o più giovani (infantili). Fresnadillo consciamente o inconsciamente fa centro e vi aggiunge dei militari, come a dire la quintessenza di tutto ciò che rappresenta la resistenza al cambiamento e la difesa dello status quo. I militari erano presenti anche nel film di Boyle, ma vi svolgevano un ruolo diverso, ambiguo, e tutt’altro che rassicurante. Fresnadillo rimette a posto le cose calando tre assi tre: la ragazza, il cecchino e il pilota dell’elicottero, tre autentici eroi. I due protagonisti sono inoltre fratelli: il loro legame è un legame di sangue (un legame che supera tutti gli altri); essi inoltre non vogliono abitare una nuova casa, vogliono tornare nella loro: come dire "sangue e suolo"! Se queste osservazioni ti sembrano tirate per i capelli, ripensa e ritorna alle origini del filone: Rabid e Shivers di Cronenberg rivelano in modo credo ancora più esplicito la matrice politica e sociologica che sta alla base del discorso. Non siamo lontani da certe suggestioni nazionalsocialiste che tanta presa ebbero sulle masse poco meno di un secolo fa: allora il virus erano gli ebrei, vampiri anch’essi, contagiosi, da temere e possibilmente sterminare con un altro red code. Ma al di là di questo parallelismo, la forza di 28 settimane dopo sta tutta nella sua capacità di risvegliare fobie e potenze del nostro inconscio come raramente accadeva da tempo. A questo punto speriamo solo che altri, più titolati e preparati del sottoscritto, gli dedichino prima o poi l’attenzione e il rispetto che merita sviluppando magari il discorso della paternità e della maternità in chiave psicologica. Che ci troviamo comunque di fronte a una generazione (o più) orfana di padre (vigliacco) e di madre (portatrice sana di virus) a me personalmente pare palese.