giovedì 17 aprile 2008

IL GRANDE RITORNO: NON SOLO CINEMA RISORGE CON TIM BURTON




SWEENEY TODD – IL DIABOLICO BARBIERE DI FLEET STREET

Di: Tim Burton
Con: Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Alan Rickman, Sacha Baron Cohen
Genere: Musical (116’)
Commento: Il regista che più sa sognare (e far sognare) a Hollywood, probabilmente l’unico che così profondamente riesce a raccordare l’onirico delle immagini e delle situazioni alla verosomiglianza dei sentimenti e della psiche umana (senza peraltro mai fare pesare questa recherche), firma nel sangue il suo ultimo capolavoro. Per Sweeney Todd, storia (vera, seppur romanzata da 150 anni di leggenda), Tim Burton va sul sicuro, affidandosi al “fratello minore” Johnny Depp, l’icona più trasformistica del cinema mondiale, e alla compagna-strega Bonham Carter, che molti volevano associata agli inizi di carriera ad un cinema assai più shakespeariano, e invece ha trovato nel ruolo di strega (in varie sfumature) la propria, maledettamente azzeccata, inquadratura. Ma Burton è anche, anzi soprattutto, un innovatore, uno che prende il genere musical, lo rispetta fino in fondo, eppure lo porta alle estreme conseguenze, trovando la poesia nei colori, nelle pose statiche e dinamiche, nei suoni di accompagnamento, prima ancora che nei “versi cantati dai suoi protagonisti” (aspetto che, per capirci, invece rese famoso il prototipo del musical made in Usa, “Singing in the rain”). Rinuncia al fido Danny Elfmann dietro lo spartito, il buon Burton, ma non perde una virgola del suo genio, regalando scenografie made in Italy (premiate dalla Accademy) e trapassi spazio-temporali da brivido: per due ore il film incolla alla sedia, costruendo parallelamente e con un dosaggio da sapiente chef note, tableau vivant (quadri come pietre miliari di questo grande affresco) e movimenti di macchina sapienti e mai banali. La forma sul contenuto e il contenuto sulla forma, senza un solo attimo di cedimento. “Sweeney Todd” è forse il film più audace, più sovversivo di Tim Burton, il che è più che un semplice certificato d’origine controllata: più sanguinolento di “Batman Il ritorno” e di “Sleepy Hollow”, più gotico de “La sposa cadavere” (che pure del musical ricalcava gli stilemi), più cruento di “Edward Mani di forbice”, eppure anche più poetico. Con una metrica fatta di dolore e vendetta, ironia noir e morte: Johnny Depp ricorda nel trucco il ragazzo-robot che lo lanciò nel 1990, ma ha perso tutto il suo candore. Perchè in fondo “Sweeney Todd” è proprio questo: l’epitaffio dell’innocenza (anche un bambino, alla fine, si armerà di rasoio), in una Londra mai così cupa, dove il sobborgo domina sul monumento (non si inquadra una sola volta il Big Ben, tentazione assoluta per altri registi) e la disperazione sul rituale. Un film perfetto, che coniuga insomma giugulari mozzate, sangue a fiotti e lirismo, emotività crescente ma pure equilibrio generale. Fino a quel finale che è omaggio al miglior Shakespeare, quello di “Romeo and Juliet”. Una lezione per tanti “registucoli” (l’ultimo Tarantino o il seguace Eli Roth), che spesso macchiano di rosso la regia solo per “puro” (si fa per dire) gusto dell’orrido. Un ultimo particolare: Sylvester Stallone nella sua carriera ha vinto un Oscar; Tim Burton (come regia o film prodotti almeno) nessuno: e poi dicono che Hollywood se ne intende...
Da non perdere: L’indagine nella feccia di Londra, che nel giro di dieci soli secondi, affascina, immerge, coinvolge: una carrellata fulminea dentro i gangli nervosi della suburbia, condita da una musica nervosissima a strappo... Pelle d’oca.

VOTO: 10

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