sabato 19 aprile 2008

Un uomo qualunque - She was a quiet man




UN UOMO QUALUNQUE
Di: Frank Cappello.
Con: Christian Slater, Elisha Cuthbert, William H. Macy, Sascha Knopf.
Genere: Drammatico (120').
Commento: Christian Slater è semplicemente straordinario: abbandona la parte del duro e passa all’estremo opposto, impiegato frustrato da una vita servile e un mestiere che appaga (poco) il portafoglio e (nulla) lo spirito. Operazione che molti considereranno eccessiva, ma che sorprende per la splendida naturalezza dell’attore, decisamente la novità migliore della pellicola. Che pure, precisiamolo, vive di luce propria: alcune citazioni sono evidenti (su tutte il finalone spazio-temporalmente labile nei suoi confini alla “Donnie Darko”), per il resto il film innova il linguaggio filmico portando tutto all’estremo, all’esagerazione di verbi, situazioni e contrasti. Tre caratteristiche che potrebbero presto eleggerlo come cult, che pure a differenza del genere saprà farsi apprezzare anche al di fuori della nicchia. Le inquadrature e i giochi di montaggio riflettono una psicologia malata, in un mondo malato, con pensieri (e desideri) malati. Non si salva nessuno nella prima parte, mentre l’amore (im)possibile per la bella modella divenuta paraplegica riscatta la condizione dell’impiegatucolo abusato. Attenzione però, perchè qui sta il bello: Slater non passa dalla parte del potere, mantiene la propria ingenuità e, con essa, le proprie insicurezze. Niente di banale, tutto di eccessivo: una formula voluta e studiata a tavolino (accettate dunque il paradossale), che funziona alla grande.
Da non perdere: Alcune riprese, mischiate a cartoon o ad allucinanti visioni, iceberg di un tentativo continuo di stupire con accostamenti arditi. Un “Paura e delirio a Las Vegas (molto) in miniatura.

VOTO: 8

venerdì 18 aprile 2008

Rivelazione inizio 2008: JUNO



JUNO
Di: Jason Reitman.
Con: Ellen Page, Michael Cera, Jennifer Garner, Jason Bateman.
Genere: Commedia (92’)
Commento: Se ci si vuole riempire la bocca di belle frasi sull’aborto, e macchiare con la politica e la campagna elettorale (vero, Giuliano Ferrara?) anche questa piccola gemma, rivelazione agli Oscar 2008, prego si faccia pure, ma non si pretenda poi di passare per credibili. Perchè Juno merita tutto, fuorchè la becera strumentalizzazione. Jason Reitman ci aveva già convinti con “Thank you for smoking” e anche nella storia della giovane, scapestrata e simpatica ribelle 16enne Juno (incinta per un pomeriggio noioso, ravvivato con il migliore amico) mantiene le linee guida di una regia sbarazzina, che affronta temi seri con leggerezza, senza per questo mai scadere nelle banalità o, peggio, nella ridicolizzazione. Lo slang giovanile domina il film, tanto che i dialoghi (quasi in una dimensione parallela alla vita reale) ricordano da vicino lo stile verbale di “Arancia Meccanica” (ma questo, sia chiaro, resta l’unico punto di sfumatura comune). Juno è la nuova Little Miss Sunshine, in un film che affronta la quotidianità con quotidiano cinismo, che fatica a condannare (l’unico personaggio negativo sarà il marito della famiglia affidataria, e anche qui ci prendiamo qualche riserva) ma non lesina in simpatia. Ingenuità e ribellione, protese tra la voglia di crescere e quella di una libertà vincolata da un figlio in grembo. L’aborto è un tema solo sfiorato, anche qui senza giudizi. Una scelta che apprezziamo: a volte, meglio lasciare il moralismo da parte, meglio concedere ad un pubblico divertito ma riflessivo anche un po’ di libero arbitrio. Fermo restando che la regia (con piani-sequenza e flashback solo sfiorati, delicati come tutto il film) spesso ruba la scena ai contenuti...
Da non perdere: La colonna sonora e la sigla iniziale. Il cd del film in particolare spopola già negli Usa.

VOTO: 8.5

giovedì 17 aprile 2008

IL GRANDE RITORNO: NON SOLO CINEMA RISORGE CON TIM BURTON




SWEENEY TODD – IL DIABOLICO BARBIERE DI FLEET STREET

Di: Tim Burton
Con: Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Alan Rickman, Sacha Baron Cohen
Genere: Musical (116’)
Commento: Il regista che più sa sognare (e far sognare) a Hollywood, probabilmente l’unico che così profondamente riesce a raccordare l’onirico delle immagini e delle situazioni alla verosomiglianza dei sentimenti e della psiche umana (senza peraltro mai fare pesare questa recherche), firma nel sangue il suo ultimo capolavoro. Per Sweeney Todd, storia (vera, seppur romanzata da 150 anni di leggenda), Tim Burton va sul sicuro, affidandosi al “fratello minore” Johnny Depp, l’icona più trasformistica del cinema mondiale, e alla compagna-strega Bonham Carter, che molti volevano associata agli inizi di carriera ad un cinema assai più shakespeariano, e invece ha trovato nel ruolo di strega (in varie sfumature) la propria, maledettamente azzeccata, inquadratura. Ma Burton è anche, anzi soprattutto, un innovatore, uno che prende il genere musical, lo rispetta fino in fondo, eppure lo porta alle estreme conseguenze, trovando la poesia nei colori, nelle pose statiche e dinamiche, nei suoni di accompagnamento, prima ancora che nei “versi cantati dai suoi protagonisti” (aspetto che, per capirci, invece rese famoso il prototipo del musical made in Usa, “Singing in the rain”). Rinuncia al fido Danny Elfmann dietro lo spartito, il buon Burton, ma non perde una virgola del suo genio, regalando scenografie made in Italy (premiate dalla Accademy) e trapassi spazio-temporali da brivido: per due ore il film incolla alla sedia, costruendo parallelamente e con un dosaggio da sapiente chef note, tableau vivant (quadri come pietre miliari di questo grande affresco) e movimenti di macchina sapienti e mai banali. La forma sul contenuto e il contenuto sulla forma, senza un solo attimo di cedimento. “Sweeney Todd” è forse il film più audace, più sovversivo di Tim Burton, il che è più che un semplice certificato d’origine controllata: più sanguinolento di “Batman Il ritorno” e di “Sleepy Hollow”, più gotico de “La sposa cadavere” (che pure del musical ricalcava gli stilemi), più cruento di “Edward Mani di forbice”, eppure anche più poetico. Con una metrica fatta di dolore e vendetta, ironia noir e morte: Johnny Depp ricorda nel trucco il ragazzo-robot che lo lanciò nel 1990, ma ha perso tutto il suo candore. Perchè in fondo “Sweeney Todd” è proprio questo: l’epitaffio dell’innocenza (anche un bambino, alla fine, si armerà di rasoio), in una Londra mai così cupa, dove il sobborgo domina sul monumento (non si inquadra una sola volta il Big Ben, tentazione assoluta per altri registi) e la disperazione sul rituale. Un film perfetto, che coniuga insomma giugulari mozzate, sangue a fiotti e lirismo, emotività crescente ma pure equilibrio generale. Fino a quel finale che è omaggio al miglior Shakespeare, quello di “Romeo and Juliet”. Una lezione per tanti “registucoli” (l’ultimo Tarantino o il seguace Eli Roth), che spesso macchiano di rosso la regia solo per “puro” (si fa per dire) gusto dell’orrido. Un ultimo particolare: Sylvester Stallone nella sua carriera ha vinto un Oscar; Tim Burton (come regia o film prodotti almeno) nessuno: e poi dicono che Hollywood se ne intende...
Da non perdere: L’indagine nella feccia di Londra, che nel giro di dieci soli secondi, affascina, immerge, coinvolge: una carrellata fulminea dentro i gangli nervosi della suburbia, condita da una musica nervosissima a strappo... Pelle d’oca.

VOTO: 10

lunedì 14 aprile 2008

Detective Squalo 2 -Casalmaggiore 2008- trailer

18 Aprile Auditorium Santa Croce IL MITO RITORNA!